16/10/2001
"Mi sono spesso chiesto se si può essere felici quando si corre dietro
ad un pallone. No, non può bastare; però se a questo si aggiunge che la
salute è buona, che accanto si hanno una donna splendida ed un bambino
meraviglioso, che i tuoi genitori ti sono sempre stati vicini e che le
tue città si chiamano Lisbona e Firenze, allora è impossibile non essere
felici ! "
Con queste parole si apre il libro di Rui Costa, grande talento portoghese,
un numero 10 di altri tempi. Ed in quella frase c'è tutto il Rui Costa
uomo: una persona semplice, di origini umili, che nonostante il successo
e le vittorie non è cambiato. E' il ragazzo della porta accanto, sempre
pronto a dar spazio all'umanità, senza mai cadere in atteggiamenti da
star. Al piccolo bambino che gli va incontro per strappargli un sorriso
lui ricambia con un abbraccio paterno, mai con freddezza. Non sentirete
mai Manuel fare dichiarazioni di rottura, anche in un dopo partita infuocato,
perché lui è un leader silenzioso, è una persona misurata e concreta.
Da fiorentino ho conosciuto ed amato Rui Costa, sia per i lampi di genio
che illuminavano lo stadio ad ogni sua partita, sia soprattutto per la
persona. E' arrivato a Firenze tanti anni fa, ragazzo ancora da formarsi.
Si è calato in questa città difficile perfettamente; come lui stesso racconta,
è diventato fiorentino a tutti gli effetti, perché ne ha la stessa indole.
Dopo sette anni passati in riva all'Arno è stato costretto dalle note
vicende Cecchigoriane a trasferirsi a Milano, alla scala del calcio. Gli
auguro di vincere tanto, tutto quello che Firenze non gli ha consentito,
perché si possa ricordare Rui nel futuro anche come un vincente, non solo
come un ragazzo d'oro che gioca guardando le stelle. Racconto qua un aneddoto
simpatico, e sconosciuto ai più, per dimostrare tutto il lato umano di
Rui, che probabilmente fuori da Firenze non è ben conosciuto. Quest'estate,
dopo il divorzio ufficiale da Firenze, la curva gli regalò una festa d'addio
allo stadio, evento mai successo prima, ancor più impensabile per una
città spesso velenosa con gli ex… Stavolta il tutto era diverso, Rui era
costretto ad andare via, e la gente lo aveva capito, accettato con la
morte nel cuore. Dal meraviglioso Algarve in cui passava le vacanze con
la famiglia, Rui ribadiva che voleva restare, ma per salvare la Fiorentina
sarebbe partito. Migliaia di persone lo salutarono quel pomeriggio, dividendo
con Manuel le lacrime, tutti uniti in un pianto molto portoghese, malinconico
come quel fado che per le strade di Lisboa risuona ad ogni vicolo.
Proprio quest'estate si festeggiano i 75 anni della Fiorentina, e molti
ragazzi sotto il sole cocente di fine agosto allestivano vari stand nella
zona dello stadio ed al suo interno. Rui intanto è a Milano, dove debutta
malamente a Brescia in campionato, facendosi male seriamente al gomito
in una rovinosa caduta. Una volta ristabilitosi, ma ancora convalescente,
Rui torna a Firenze, per prendere cose dalla sua casa fiorentina, salutare
dei vecchi amici. Sa della manifestazione allo stadio. Per tutto il viaggio
in auto da Milano a Firenze ha un solo pensiero fisso: ci vado o no? Arriva
a Firenze all'ora di cena, passa davanti allo stadio, …troppa gente, non
mi sento sicuro… come mi accoglieranno? E se lo vengono a sapere i dirigenti
del Milan ? Va a casa di amici. Racconta loro del suo stato d'animo, la
sua voglia di vedere ancora una volta quei ragazzi che lo amano così tanto,
di sentirsi fiorentino ancora per qualche ora, prima di tuffarsi pienamente
nella Milano rossonera. Ripassa intorno allo stadio verso le 23, gira
con la sua auto più volte intorno al Franchi, indeciso. Poi rompe gli
indugi, decide di entrare, proprio dall'ingresso sotto la curva Fiesole,
il cuore del tifo viola, dove tanti ragazzi lo conoscono personalmente.
Arriva al cancello, e chiede con un filo di voce "Sono ancora ben accetto
qua? Quanto costa il biglietto?" I ragazzi non ci credono quasi ! Rui
è tornato da persona, da Fiorentino, a vedere quello stadio che gli ha
dato tante gioie, a leggere la storia di quella società di cui lui fa
parte, a vedere le foto dei tanti numeri 10 che, come lui, hanno regalato
tante emozioni ai fiorentini. Non lascerà nessuna dichiarazione ai giornalisti
presenti per caso, non vorrà nessuna foto in ricordo della serata, starà
insieme alla gente comune, a cui appartiene. Non per nascondersi, ma perché
lui è li come fiorentino, non come calciatore. Voleva partecipare alla
festa della città che lo adottato come un figlio, e di cui lui si sente
parte. Ed in cui dividerà la sua vita da "pensionato" con Lisbona.
Già, proprio Lisbona. "Lisbona per molti, forse per tutti, è la luce chiara
distesa su sette colli,.. il suo quartiere più antico, Alfama,… ha la
voce di Amalia Rodrigues,… ma quando penso a Lisbona, la prima cosa nella
mia testa è la Damaia…" Alla Damaia, quartiere modesto della città, il
29 marzo del 1972 vide la luce Rui Manuel Cesar Costa. Un angolo della
bellissima città lusitana in cui il tempo sembra fermarsi, in cui tutti
si conoscono, in cui la gente umile va da generazioni alla solita piccola
bottega di pesce a comprare il baccalà per zuppa del pranzo. E' qui che
Rui cresce calciando il pallone, crescendo nel mito del Benefica e della
"Cattedrale", lo stadio Da Luz di Lisbona. Tanto che il sogno di Rui Costa
sarebbe proprio quello di tornare a fine a carriera nella sua amatissima
città, chiudere li in bellezza. Tutti a Lisbona sanno di questo sogno,
tanto che negli spogliatoi del Benfica è tutt'ora libero l'armadietto
che usava Rui, "è pronto per quando tornerà" dicono.
A 10 anni fa il primo provino per le giovanili del Benfica, viene preso
in una delle tante società satelliti del mitico club di Eusebio, "ma è
un po' gracile questo bimbo…" diranno gli allenatori. La "pantera nera"
Eusebio ha regalato al piccolo Rui le prime vere lezioni di calcio. Era
il più piccolo del gruppo, tutti lo coccolavano quasi come una mascotte,
ma tutti intravedevano in lui un talento unico. Proprio Eusebio gli insegnò
anche il modo di stare in campo, la disciplina, il non lamentarsi e far
scene anche se colpito duramente, come in quel pomeriggio in cui, fermato
malamente da dietro, gli scappò una parolaccia istintiva. Eusebio, severo,
lo cacciò dal campo immediatamente. Dice Rui che è stata una lezione di
vita incredibile, come tutti gli anni passati sotto la custodia di quel
burbero ma in fondo buono mito del calcio lusitano. Visse anni di calcio
giovanile fino alla vera e propria esplosione nel mondiale under 20 del
1991, in cui un Portogallo di futuri campioni (Rui, Figo, Paulo Sosa,
Joao Pinto tanto per dirne alcuni) vinse la finalissima contro il Brasile
ai rigori. Ed indovinate chi tirò il rigore decisivo? Proprio Rui Costa.
Nell'autunno dello stesso anno arriva il debutto in campionato con il
Benfica, guidato da Eriksson. Era una squadra forte, soprattutto a centrocampo,
in cui non mancavano le soluzioni. Ma il buon Sven intravide subito le
qualità di quel ragazzo che giocava con il pallone tra i piedi guardando
sempre a testa alta, che saltava l'uomo senza perdere l'equilibrio e riusciva
a servire assist millimetrici. Nel suo esordio in coppa campioni giocò
pochi minuti, partendo dalla panchina. Ma fu determinante del secondo
turno, in cui il Benfica sconfisse a Londra il mitico Arsenal, prima vittoria
portoghese nella storia contro quella squadra.
Da li una continua crescita, fino all'estate del 1994, in cui avviene
il passaggio alla Fiorentina dopo un estenuante braccio di ferro con il
Barcellona. Rimase stupito per l'entusiasmo della gente e della società,
da poco risalita dalla serie B, vogliosa di riscatto e piena di progetti
ambiziosi. Realizzò il suo primo goal in Italia il 23 ottobre 1994, contro
il Padova; gioca una annata buona, segnando diverse reti e regalando sprazzi
di classe cristallina. Ma il rapporto con l'allenatore Ranieri non è eccelso,
perché spesso lo relega sulla fascia in momenti critici per la squadra
o lo sostituisce, mentre Rui vorrebbe accollarsi il centrocampo, esserne
il fulcro, non solo il rifinitore. Buonissime stagioni quelle con Ranieri,
culminate con la vittoria nella Coppa Italia nel 1996 ed il terzo posto
in campionato, la supercoppa italiana contro il Milan nell'estate, e la
semifinale di coppa delle coppe nell'anno successivo.
Ma la vera consacrazione arriva con Malesani l'anno seguente, perché il
tecnico veronese capisce che Rui non è solo un rifinitore ma è un giocatore
totale. Ha i piedi del mago e intuizione, velocità di esecuzione, la capacità
di attirarsi contro il marcatore avversario e trovare ugualmente lo spiraglio
per servire l'attaccante smarcato. Ma allo stesso tempo corre, lotta,
recupera il pallone. Subisce duri colpi e si rialza. Sempre. E soprattutto
è un leader dentro: più lo responsabilizzi, più Rui rende ed aiuta i compagni.
C'è chi lo critica dicendo "tiene troppo palla". Vero. Ma perché Rui osserva
i movimenti dei compagni, e li serve solo quando essi sono in condizione
di ricevere palle pericolose. Raramente Manuel sbaglia un lancio di metri
o si fa intercettare un passaggio filtrante perché sa leggere il campo
ed i movimenti dei suoi compagni come pochi altri giocatori. Malesani
gli consegna le chiavi del gioco della Fiorentina, e la squadra giocherà
un buon campionato, regalando ai tifosi un calcio bello e vincente. Rui
Costa gioca la sua miglior stagione del suo arrivo, e tutto il calcio
italiano inizia a capire che straordinario giocatore indossa la maglia
numero 10 a Firenze. Arriva il Trap, e la Fiorentina lotta per il campionato
per tre quarti di stagione, tanto che finisce il girone d'andata al comando,
prima di crollare a causa di una rosa troppo ristretta.
Rui continua a crescere, e nonostante Batistuta sia il "sindaco" di Firenze
è lui il vero leader della squadra, l'allenatore il campo. Gioca una stagione
eccezionale, segnata in primavera dal dramma personale della perdita del
secondo figlio al 5° mese di gravidanza. Soffre in silenzio, solo gli
amici veri lo sanno, con grande dignità finisce il campionato infortunato,
canta e porta la croce. Poi gli ultimi 2 anni travagliati, compresa la
parentesi Terim in cui Rui gioca a livelli stratosferici, fa girare per
alcuni mesi la Fiorentina in modo perfetto. Tanti affermano che era dai
tempi del primo Milan di Sacchi che non si vedeva un calcio così offensivo,
bello. Fino a questa estate, culminata nella seconda vittoria di Coppa
Italia per il portoghese, i tumulti societari e l'addio forzato. Adesso
Rui Costa è al Milan, una squadra gloriosa, una delle più importanti del
mondo. Il palcoscenico di Milano ha trovato un direttore d'orchestra magistrale.